Miopia, Guarire miopia, Miopia Bambini - Dottor Alessandro Mugnai
ortocheratologia
 
 

Primo capitolo


La mia esperienza

Avevo sette anni, nel 1963, quando si scoprì che ero miope. Mio padre mi accompagnò in ospedale per una visita oculistica. Dopo una breve anticamera entrammo in una stanza buia dove mi fecero sedere su uno sgabello; ricordo due camici che si muovevano e alcuni rettangoli illuminati.
Il medico mi chiese se vedevo qualcosa: "Certo, un rettangolo illuminato!". Allora mi appoggiò sul naso uno strano aggeggio e vi inserì dei cerchietti di vetro: "Accidenti, sul quadro ci sono delle lettere!". Mise altri cerchietti e poi li sostituì, chiedendomi se vedevo meglio: ovvio che vedevo meglio, ora riuscivo a vedere grosse lettere nella parte alta del quadro e linee confuse più sotto.
Ogni volta che il dottore cambiava quei vetrini mi chiedeva: "Ora riesci a leggere qui?". No che non potevo leggere lì: se c'era scritto qualcosa era troppo piccolo! Ma intanto si faceva strada in me l'idea che se qualcuno me lo chiedeva probabilmente avrei dovuto vedere quello che mi veniva indicato e tutto ciò mi dava la sensazione di essere in qualche modo anormale.
Alla fine della visita mi venne diagnosticata una miopia di tre diottrie. Quando mia madre lo seppe scoppiò in lacrime e io non capivo perchè; per me la cosa che contava di più era aver concluso quell'esame di destrezza nella lettura che mi aveva visto sconfitto. Tuttavia la reazione di mia madre era comprensibile. Aveva già dovuto affrontare quel tipo di problema: oltre ad essere lei stessa miope, lo erano anche le mie due nonne; evidentemente era un vizio di famiglia, o meglio una caratteristica ereditaria.
Mi fu preparato un paio di occhiali da vista. Le appendici visive non erano ancora diventate un accessorio di moda; la scelta delle montature era molto limitata e i colori disponibili erano nero o tartaruga scuro: tristi per un bambino! Ciò nonostante gli occhiali avevano qualcosa di magico, perchè mettendoli il mondo si schiariva e anche gli oggetti lontani assumevano forma e colore. Purtroppo, però, usare le lenti non era un segno positivo di distinzione e quando diventai un po' più grandicello la categoria dei "quattrocchi" godeva di speciali privilegi: "Non si picchia uno con gli occhiali!". Nei confronti delle lenti si veniva così a creare una sorta di odio-amore: se da una parte mi consentivano finalmente di vedere bene i giocatori di calcio allo stadio, dall'altra non mi aiutavano quando c'erano da fare gli occhi languidi a quella ragazzina carina del primo banco.
Periodicamente, i miei genitori mi accompagnavano dall'oculista che mi sottoponeva alla prova di destrezza: ogni volta era una nuova sconfitta. Con gli occhiali non riuscivo a leggere i caratteri più piccoli, il medico dichiarava un peggioramento e mi prescriveva lenti più forti.
Nel frattempo si andavano diffondendo le lenti a contatto. Non sapevo di che cosa si trattasse, ma l'idea di potermi liberare degli occhiali era molto allettante. Ancora una volta mi ritrovai al cospetto di un oculista che mi mostrava l'odiata tabella ma che, con tutta probabilità, mi avrebbe prescritto le lenti a contatto. Il dottor Parducci era un omone paterno molto paziente e, dopo una visita accurata, scrisse una ricetta che sentenziava:
"Fine degli occhiali".
Per la prima volta fui contento di essere stato da un oculista.
Le lentine vennero ordinate al laboratorio. Erano del tipo rigido della ditta Galileo e una volta indossate davano la sensazione che sull'occhio fosse appoggiata una piccola trave, ma permettavano una visione nitidissima e per di più... senza occhiali! Inoltre, con il passare del tempo, la fastidiosa impressione di corpo estraneo andava scomparendo.
Era il 1971 e avevo quindici anni. Da allora la mia miopia non è più peggiorata. Il fatto potrebbe sembrare strano perchè avrei studiato per molti altri anni ancora e avrei dovuto superare l'età dell'adolescenza: a detta dei medici, due fasi estremamente critiche che forse avrebbero comportato nuovi peggioramenti. Il destino ha voluto che ne capissi la ragione più tardi, grazie alla mia attività di optometrista che sarebbe iniziata dieci anni dopo.


"Ogni persona, ogni avvenimento nella tua vita sono là perchè tu ve li hai attratti. Quello che scegli di farne dipende da te".

Richard Bach

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